IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Zanon Bruno, nato a Venezia il 15 novembre 1954, imputato del reato p. e p. dall'art. 39, primo comma della legge 11 febbraio 1971, n. 50 e successive modificazioni; O S S E R V A Zanon Bruno veniva sorpreso in Venezia, alla condotta di un motoscafo da diporto senza essere in possesso della prescritta patente di abilitazione. Veniva quindi redatto nei suoi confronti processo verbale di contravvenzione alla norma prevista dall'art. 39, primo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 50, modificata dalla legge 6 marzo 1976, n. 51 e 26 aprile 1986, n. 193. Il fatto ascritto all'imputato e' pacifico, come quindi e' indubbia l'applicabilita', al caso concreto, della norma sanzionatrice sopra richiamata che prevede la pena alternativa dell'arresto da cinque giorni a sei mesi o dell'ammenda da lire un milione a lire due milioni. Senonche', tale trattamento sanzionatorio appare manifestamente ed ingiustificatamente piu' grave di quello stabilito per chi commette un fatto del tutto analogo, e cioe' conduca un motoscafo od un'imbarcazione con motore entro o fuoribordo immatricolata "per uso privato" ai sensi del regio decreto-legge 9 maggio 1932, n. 813, anziche' una "unita' da diporto" immatricolata come tale ai sensi della legge n. 50/1971. Infatti, l'art. 20 del citato regio decreto legge n. 813/1932 (decreto la cui attuale piena vigenza e' esplicitamente confermata dagli articoli 50 e 51 della legge n. 50/1971 e dall'art. 5, primo comma, e 12 quarto comma, 189 e segg. del d.P.R. 14 novembre 1972, n. 1154) sanziona solo in via amministrativa tale comportamento, essendo stata depenalizzata sin dal 1976 la relativa originaria sanzione dell'ammenda, con la legge 24 dicembre 1975, n. 706, poi sostituita dalla legge 24 novembre 1981, n. 689. La disparita' di trattamento appare palese, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, allorche', si ponga mente che l'iscrizione di un'imbarcazione a motore fra quelle da diporto anziche' fra quelle ad uso privato dipende non gia' da caratteristiche intrinseche del mezzo o del motore o da altri elementi obiettivamente diversi, bensi' dalla mera volonta' del proprietario, manifestantesi con la richiesta di iscrizione dell'imbarcazione in un registro piuttosto che in un altro. Tra l'altro, si deve evidenziare che l'uso privato, che e' definito dall'art. 1, terzo comma, del regio decreto-legge 9 maggio 1932, n. 813, come "qualsiasi uso dal quale esuli il fine di speculazione", necessariamente comprende in se' la possibilita' di usare un natante immatricolato appunto "per uso privato" anche per scopi di diporto, essendo tale finalita' evidentemente inclusa fra quelle istituzionalmente "non speculative". Si verifica, quindi l'assurdo che colui il quale possiede un natante a motore, da adibire, in concreto, a scopo di diporto, se lo fa iscrivere nei registri delle imbarcazioni da diporto e poi lo conduce (ove il motore superi la potenza di 25 cavalli o 18,4 chilowatt) senza esser in possesso della patente di abilitazione, incorre nelle sanzioni penali previste dall'art. 39 della legge n. 50/1971 e successive modificazioni; mentre se lo iscrive (come nessun'autorita' puo' impedirgli di fare) nei registri delle imbarcazioni a motore ad uso privato, incorrera' nella sola sanzione amministrativa prevista dal regio decreto-legge n. 813/1932, se e' privo della relativa abilitazione ed anche se, di fatto, usa per scopo di mero diporto il natante stesso. Poiche' appare del tutto incomprensibile per quale ragione la iscrizione di un'imbarcazione a motore in un registro piuttosto che in un altro (identiche restando le caratteristiche del mezzo e del motore installato) sia produttiva di conseguenze cosi' palesemente diverse dal punnto di vista sanzionatorio nel caso in cui l'imbarcazione sia condotta senza la prescritta patente di abilitazione, la questione di costituzionalita' dell'art. 39, primo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 50, modificata dalla legge 6 marzo 1976, n. 51 e 26 aprile 1986, n. 193, in relazione all'art. 3 della Costituzione appare non manifestamente infondata, oltre che, ovviamente, rilevante nel procedimento penale in corso contro l'imputato, cui e' ascritta appunto la contravvenzione in questione, non potendo questo giudice decidere il caso senza che preventivamente sia stata accertata la costituzionalita' della norma incriminatrice. La questione appare tuttora rilevante anche dopo l'entrata in vigore della legge 5 maggio 1989, n. 171, che all'art. 10 equipara i motoscafi ad uso privato ai fini dell'abilitazione al comando e della relativa tassa sulle concessioni governative, alle unita' da diporto. Cio' occorre ribadire esplicitamente tenuto conto che la Corte costituzionale con ordinanza n. 433 del 18-25 luglio 1989, ha restituito a questo pretore gli atti del p.p. n. 534/88 A contro Hendrikus Holkamp nell'ambito del quale era stata sollevata questione di costituzionalita' identica a quella che qui si propone, al fine di verificare se e come, alla stregua della normativa sopravvenuta, la questione sollevata conservi rilevanza. Tanto premesso, ritiene questo giudice che la questione non abbia perduto la rilevanza che aveva prima della recente modifica legislativa, ma anzi la disposta equiparazione ancor piu' evidenzi l'assurdita' del diverso regime sanzionatorio. La disposizione di cui all'art. 10 della legge 5 maggio 1989, n. 171, infatti, si limita ad "equiparare" le abilitazioni al comando previste rispettivamente per le unita' ad uso privato e per le unita' da diporto, senza minimamente modificare il regime sanzionatorio relativo all'abusiva condotta dei due tipi di unita'. In sostanza, con la disposta "equiparazione" chi e' in possesso dell'abilitazione al comando di motoscafi ad uso privato potra' comandare anche natanti da diporto, senza necessita' di munirsi della abilitazione specificamente prevista per tali ultimi natanti; e viceversa. Null'altro (a parte la norma fiscale) dispone il citato art. 10; nessuna menzione neppure indiretta, e' fatta al regime sanzionatorio, che pertanto e' rimasto del tutto invariato: chi venga sopreso a condurre un motoscafo immatricolato per uso privato senza abilitazione verra' quindi, assoggettato alla sanzione amministrativa prevista dall'art. 20 del regio decreto-legge 9 marzo 1932, n. 813, mentre chi venga sorpreso a condurre un natante immatricolato per diporto senza abilitazione verra' assoggettato alle sanzioni penali previste dall'art. 39, primo comma, della legge 11 febbraio 1971, n. 50 e successive modificazioni. L'unica innovazione consiste, quindi, nel fatto che, mentre in precedenza le due abilitazioni non erano equiparate, e quindi chi avesse ottenuto la patente "ad uso privato" non era abilitato a condurre un natante immatricolato "da diporto", cosi' incorrendo nelle sanzioni previste dall'art. 39 della legge n. 50/1971 (e viceversa), attualmente tale situazione non e' piu' configurabile. Nella fattispecie concreta, che e' alla base del presente procedimento, peraltro, e' pacifico che l'imputato non era in possesso di alcuna delle due possibili abilitazioni, sicche' nessuna influenza puo' avere la modificazione legislativa intervenuta, onde la questione di costituzionalita' proposta il 27 dicembre 1988 e' tuttora rilevante. Va ulteriormente chiarito che - una volta escluso che l'art. 10 della legge 5 maggio 1089, n. 171, abbia abrogato esplicitamente l'art. 39 della legge n. 50/1971 oppure l'art. 20 del regio decreto n. 813/1932, come del resto e' ovvio, - mancando al riguardo la dichiarazione di abrogazione espressa - non puo' nemmeno ipotizzarsi - a seguito dell'avvenuta equiparazione delle due abilitazioni - un'abrogazione implicita dell'uno o dell'altra delle due sopra citate norme sanzionatorie. A parte il fatto che non si saprebbe, in ogni caso, quale delle due diverse norme dovrebbe ritenersi sopravvissuta, v'e' da notare che un'abrogazione implicita puo' esservi, secondo quanto dispone l'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, solo per "incompatibilita'" tra le nuove disposizioni e le precedenti, o perche' la nuova legge regola l'intera materia gia' regolata dalla legge anteriore. Tale ultima ipotesi e' palesemente insussistente, dappoiche' la legge 5 maggio 1989, n. 171, e' un'insieme di modifiche puntuali e specifiche e di integrazioni alla legge gia' vigente sulla nautica da diporto; ma anche la prima ipotesi non si configura affatto. Ed infatti, non v'e' alcuna incompatibilita' tra la norma che ha disposto l'equiparazione fra le abilitazioni e le norme che stabiliscono un diverso regime sanzionatorio, giacche' incompatibilita' significa solo che una norma dispone in un certo modo su un determinato oggetto, ed un'altra in modo del tutto antitetico o comunque diverso: sempre, pero', sullo stesso oggetto. Nel nostro caso, invece, gli oggetti, o situazioni disciplinate, sono disomogenei, giacche' la prima norma (quella della legge n. 171/1989) regola i rapporti fra due diversi tipi di abilitazione, mentre la seconda (o meglio, le altre, e cioe' l'art. 39 della legge n. 50/1971 e l'art. 20 del r.d.- l. n. 813/1932) prevede sanzioni per i conduttori abusivi di natanti. Anche se per assurdo non si volesse accedere a questa interpretazione, e si ritenesse comunque abrogata la disciplina sanzionatoria differenziata, che questo pretore sospetta di incostituzionalita', va comunque ricordato che, per poter ritenere ormai irrilevante la questione, occorrerebbe necessariamente opinare che la equiparazione fra le due abilitazioni, disposta dalla legge 5 maggio 1989, n. 171, abbia comportato l'attuale applicabilita', in ogni caso, della norma sanzionatoria piu' favorevole e cioe' l'art. 20 del r.d.- l. n. 813/1932. In tal caso infatti dovrebbe applicarsi alla fattispecie il terzo comma dell'art. 2 del c.p. Non si vede, in realta', come si potrebbe giungere a tale interpretazione, mancando ogni pur labile appiglio interpretativo in tale direzione. Quando, invece, si volesse sostenere che l'equiparazione fra le abilitazioni comporta, attualmente, l'assoggettabilita' alla sanzione penale anche di colui che conduca senza abilitazione un natante ad uso privato, poiche' tale estensione non puo' aver effetto retroattivo ex art. 2, primo comma c.p., ne consegue che, in ogni caso, la questione di costituzionalita' proposta conserverebbe rilevanza, giacche' e' incontestabile che, fino all'entrata in vigore della legge n. 171/1989, il regime sanzionatorio era irragionevolmente differenziato.